Tutti noi siamo abituati a pensare all’acido solfidrico (anche noto come idrogeno solforato) come ad un potente veleno. La letteratura scientifica è infatti unanime nel riconoscere la sua tossicità: ad elevate concentrazioni (700-1000 ppm, ovvero parti per milione) esso causa la morte in tempi brevissimi, mentre a basse dosi è in grado di causare disturbi neurologici, respiratori, motori, e cardiaci, a volte anche irreversibili. Insomma, con queste premesse nessuno vorrebbe avere a che fare con questo temibile gas, contraddistinto dal caratteristico odore di uova marce; tuttavia la scienza ci insegna che, così come altri composti, l'acido solfidrico non è il male assoluto, né che sia necessariamente sempre tossico, e che anzi, può apportare benefici all’uomo, in determinate circostanze. I primi a sfruttare le proprietà benefiche e curative di questo composto chimico furono i romani con le terme, luoghi di socializzazione e templi del benessere. All’interno di esse si usava inalare i vapori benefici derivanti dalle sorgenti sulfuree, tradizione che portiamo avanti anche ai tempi d’oggi.
Formula chimica dell'acido solfidrico
A riprova del fatto che l’acido solfidrico non è sempre tossico, forse non tutti sanno che esso viene costantemente prodotto dalle nostre cellule: è infatti riconosciuto, insieme al monossido di carbonio (CO) e l’ossido nitrico (NO) come uno dei tre principali gas-trasmettitori cellulari. Questi tre mediatori gassosi condividono alcune proprietà: sono piccole molecole capaci di diffondere rapidamente attraverso le membrane cellulari, vengono prodotti dalle nostre cellule e svolgono un'azione di controllo su alcune funzioni biologiche importanti per l’omeostasi del nostro organismo. Inoltre presentano una breve emivita plasmatica e risultano essere estremamente tossici a concentrazioni elevate.
L'acido solfidrico viene sintetizzato da due enzimi (le cui sigle sono CSE e CBE) presenti nelle cellule a livello del sistema cardiovascolare e in alcuni organi quali fegato, rene, utero, placenta, pancreas, polmoni e tratto gastrointestinale. È facile quindi dedurre che questo mediatore avrà un ruolo nel mantenimento fisiologico di tali sistemi e, di conseguenza, una maggiore o minore sintesi di acido solfidrico può portare ad un'alterazione di questa fine regolazione e quindi allo sviluppo di diverse patologie.
Le crescenti conoscenze sul significato e la funzione biologica dell’acido solfidrico a livello cardiaco e dei vasi sanguigni hanno permesso di determinare l’importanza di questo gas-trasmettitore, il quale esercita, a livello cardiovascolare, diversi effetti fisiologici. Tra questi ritroviamo la regolazione del tono vasale, grazie al suo potere vasodilatatore, l’inibizione dell’aggregazione piastrinica e la prevenzione della formazione delle placche aterosclerotiche grazie alla sua azione anti-infiammatoria. L’acido solfidrico è inoltre in grado di sopprimere la produzione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), proteggendo le cellule dallo stress ossidativo, e quindi dall’invecchiamento cellulare.
L’associazione tra acido solfidrico e ipertensione fu scoperta diversi anni fa, grazie a degli studi su pazienti affetti da questa patologia che presentavano una drastica riduzione nei livelli plasmatici di acido solfidrico endogeno, ovvero derivante da fattori interni, rispetto ai livelli osservati in individui con pressione arteriosa nella norma. La diminuzione di acido solfidrico osservata nei soggetti ipertesi si rivelò essere strettamente legata ad un malfunzionamento dell’enzima cellulare CSE che lo produce. Questa evidenza fu successivamente confermata in modelli murini ipertesi, nei quali, attraverso tecniche di ingegneria genetica, si è inattivato il gene per l’enzima CSE. A riprova del fatto che la produzione di acido solfidrico fosse strettamente associata alla regolazione della pressione sanguigna, i topi aventi il gene per l’enzima inattivato, manifestarono tutti, nell’arco di poche settimane, un notevole aumento della pressione sanguigna rispetto ai topi sani, sviluppando a lungo andare ipertensione. Sempre studi su modelli murini ipertesi evidenziano come il trattamento dei topi con acido solfidrico esogeno, quindi somministrato dall’esterno, per cinque settimane sia in grado di attenuare gli alti livelli di pressione sanguigna, migliorando il quadro clinico dei topi.
L’effetto benefico dell’acido solfidrico nel trattamento dell’ipertensione viene oggi attribuito alla sua capacità vasorilassante: la molecola infatti è in grado di agire sulle cellule muscolari lisce che ricoprono i nostri vasi sanguigni, inducendo rilassamento che, di conseguenza, abbassa la pressione sanguigna. Oltre a svolgere questa funzione, l’acido solfidrico interviene nella protezione delle cellule endoteliali dal danno indotto da alti livelli di glucosio nel sangue, condizione che si riscontra frequentemente in pazienti diabetici, promuovendone la sopravvivenza e la proliferazione.
Questi studi hanno catturato l’interesse di molti ricercatori che oggi sono impegnati nella ricerca di terapie a base di acido solfidrico per il trattamento di diverse patologie associate ad alterazioni dell’apparato cardiovascolare. Considerando le difficoltà nella manipolazione e nella somministrazione del composto, dovuta alla sua elevata tossicità ad alte concentrazioni, oggi sono stati ideati diversi pro-farmaci, molecole non tossiche in grado di rilasciare acido solfidrico in maniera graduale all’interno delle cellule e di mantenere la concentrazione plasmatica di acido solfidrico a livelli fisiologici. La ricerca farmacologica, sebbene ancora in fase iniziale di studio, è promettente.
Nella nostra vita quotidiana è possibile sfruttare i benefici dell’acido solfidrico derivanti da diversi vegetali commestibili come broccoli, aglio e la rucola, i quali contengono delle sostanze come polisolfuri (aglio) e isotiocianati (broccoli e rucola) che sono dei donatori naturali di acido solfidrico. Anche questi composti sono attualmente in studio sotto la lente del microscopio di molti ricercatori e i risultati ad oggi sono molto incoraggianti, al punto da pensare di utilizzare questi composti naturali a scopo preventivo e terapeutico. Nello specifico, l’Erucina, l’isotiocianato derivante dalle rucola, oltre ad agire regolando la pressione sanguigna, possiede anche una azione protettiva sull’endotelio dai danni dovuti allo stress ossidativo ed a livelli elevati di glucosio, e possiede inoltre proprietà antinfiammatorie ed attività antitumorali. Purtroppo nonostante gli innumerevoli benefici di queste sostanze, il sapore particolarmente pungente di questi vegetali come aglio, rucola e broccoli, dovuto proprio alla presenza di solfuri, agisce da deterrente per molte persone che quindi preferiscono altri cibi e sapori.
Come già accennato, la scienza ci insegna che l’acido solfidrico, così come tantissimi altri composti, non è il male assoluto, né che sia necessariamente sempre tossico. Alla base di questa affermazione troviamo un concetto molto importante nel mondo della farmacologia, un concetto che ci viene tramandato da secoli e che si può riassumere in una celebre frase latina attribuita a Paracelso, un medico e alchimista rinascimentale:
“Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit”
che tradotta significa “Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto”. Quindi qualsiasi sostanza può essere innocua o addirittura benefica se viene assunta in modiche quantità mentre può risultare dannosa o potenzialmente fatale se presa ad alte dosi.
Shirley Genah