Dall’inizio della pandemia, di strada ne è stata fatta molta; basti pensare a come fosse difficile, all’inizio di marzo 2020, sottoporsi ad un tampone e come oggi, invece, diagnosticare l’infezione risulti molto più semplice, grazie ai tanti tamponi molecolari che siamo in grado ormai di processare quotidianamente e alla facilità con cui ci si può sottoporre ad un tampone antigenico.
Le sperimentazioni circa nuovi modi per ottimizzare al massimo le tempistiche di diagnosi infatti proseguono velocemente. Per esempio, in Italia è da poco iniziata la sperimentazione di un metodo che sfrutta l’olfatto dei cani per diagnosticare la Covid-19: questo metodo specifico si inserisce nella più generale diagnostica olfattiva, che, come suggerisce il nome, prevede l’utilizzo dell’olfatto per la diagnosi di particolari malattie. Questo è possibile proprio perché alcune malattie possiedono marker olfattivi caratteristici che ne permettono il riconoscimento. Tali marker sono infatti tipici di alcuni stati patologici, i quali alterando e il metabolismo del nostro corpo, fanno sì che le cellule rilascino delle sostanze specifiche tramite il sudore o il respiro: per l'appunto i marker olfattivi.
Negli ultimi anni del XX secolo sono state sviluppate varie tecniche diagnostiche basate sull’impiego di nasi elettronici (ne avevamo parlato su MadaMagazine l’anno scorso) e sull’utilizzo di cani opportunamente addestrati al riconoscimento olfattivo di campioni biologici nell’ambito dello screening, ad esempio oncologico. Ovviamente però, qualsiasi diagnosi di tumore deve essere oltre che affidabile anche molto specifica. Di conseguenza, parlando di cancro, i nostri amici a quattro zampe non possono essere utilizzati da soli come strumento diagnostico. Il naso degli animali, e di certe razze di cani in particolare come i pastori tedeschi, possiede un gran numero di recettori olfattivi specializzati: nello specifico, sono circa 220 milioni di recettori contro i 5 milioni di un naso umano.
Alla luce della ricerca sulla diagnostica olfattiva,e quanto da noi conosciuto, è nata dunque l’idea di sfruttare il fiuto canino per la diagnosi del Covid-19. Finora in Europa sono stati effettuati due studi di laboratorio per la rilevazione della Covid-19 con cani addestrati. Il primo, realizzato della École Nationale Vétérinaire d'Alfort e dell’Université Paris Est, ha ottenuto un tasso di rilevazione esatta tra l’83 e il 100% con l’utilizzo di campioni di sudore. Il secondo, della Università di Hannover e Amburgo e dal Central institute of medical service delle Forze armate della Germania, ha ottenuto un tasso medio di rilevazione esatta del 94 %, utilizzando campioni di saliva.
Il progetto di ricerca è dunque partito da poco anche presso il Drive In del Policlinico universitario del Campus Bio-Medico di Roma; come è organizzata però questa sperimentazione?
Si è partiti con un trial della durata di quasi due mesi, durante i quali i cani sono indirizzati al riconoscimento della presenza del virus attraverso specifiche tecniche di addestramento; da protocollo infatti l’animale entra in contatto con campioni contenenti il sudore di pazienti Covid-19 positivi, che vengono fatti annusare accuratamente, al fine di addestrare l’animale al riconoscimento di nuovi campioni. In seguito poi, alla fine di questi due mesi, il progetto proseguirà con altre quattro/sei settimane di sperimentazione grazie alla collaborazione di pazienti volontari che effettuano tamponi presso il Drive-In del Campus Bio-Medico. Parallelamente a questo, il laboratorio eseguirà il test molecolare naso-faringeo per verificare l’efficienza dei cani nella diagnosi.
Questo porterebbe ad una vera e propria svolta da un punto di vista diagnostico, andando ad ottimizzare di molto il tempo della diagnosi. Un cane ben addestrato potrebbe impiegare circa 10 secondi nella rilevazione del virus mentre un tampone rapido ci mette circa 15 minuti. Per non parlare poi del tampone molecolare che impiega minimo 3 ore per l’analisi. Ciò che ci si augura infatti è di poter utilizzare i cani nell’attività di screening all’interno di grandi eventi o semplicemente negli aeroporti o all’ingresso della stazione, dei cinema e magari anche dei teatri con l’obiettivo di far ripartire la vita anche negli ambiti che sono più spesso frequentati. L’utilizzo dei cani potrebbe portare ad una forte velocizzazione del tempo oltre che una diminuzione delle spese e una migliore organizzazione ed efficacia dei controlli.
Giorgia Calò