Ad oggi è ancora troppo presto per parlare dell’esistenza di un vaccino per prevenire la malattia o di farmaci specifici per trattare COVID-19. Seppur non esista ancora un farmaco ad hoc, esistono possibilità di farmaci a uso compassionevole, dove molecole già approvate per curare altre malattie vengono ora proposte con un uso diverso (nel gergo si dice “off-label”) e si prova a valutare la loro efficacia sul nuovo Coronavirus. Vediamo ora insieme tre esempi.
Remdesivir o RDV: è un farmaco con attività antivirale che inibisce la replicazione del virus attraverso l'interruzione prematura della trascrizione dell’RNA. Creato in origine dalla compagnia Gilead Sciences per il virus Ebola, ha dimostrato un'attività antivirale con buona efficacia sia in vitro (su cellule coltivate in laboratorio) che in vivo (in modelli animali) contro diversi virus strutturalmente simili al SARS-CoV-2, quali quello della SARS e quello della MERS.
Idrossiclorochina e Clorochina: sono due farmaci indicati sia nel trattamento della malaria che di alcune patologie autoimmuni, tra cui lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide e porfiria cutanea tarda, dove sono oggi frequentemente impiegati. La loro azione terapeutica si basa su diversi effetti farmacologici che vanno dal blocco della replicazione del virus, alla modulazione dell’eccessiva risposta immunitaria responsabile dell’infiammazione del tessuto polmonare, che rende difficili gli scambi di ossigeno. Poiché l’uso terapeutico dell’idrossiclorochina sta entrando nella pratica clinica sulla base di evidenze incomplete, è urgente uno studio randomizzato che ne valuti l’efficacia clinica.
Tocilizumab: è un anticorpo monoclonale che blocca l’azione dell’interleuchina 6 (IL-6), una molecola che svolge un ruolo fondamentale nell'attivazione dei processi infiammatori. È un farmaco indicato per il trattamento dell'artrite reumatoide grave e della poliartrite idiopatica giovanile. Come descrive la Società Italiana di Farmacologia, il suo impiego nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 si basa sullo spegnimento di quella che viene chiamata “tempesta citochinica”, causata dall’eccessiva risposta immunitaria che il nostro organismo produce nei confronti del virus, che, a lungo termine, provoca danno e fibrosi del tessuto polmonare. Quindi la sua azione non ha attività sul virus di per sé, ma può aiutare a migliorare il quadro clinico del paziente agendo su quelle che potrebbero essere le complicazioni dell’infezione. In Italia, è stato avviato uno studio che ha lo scopo di valutarne l’efficacia in pazienti con polmonite e primi segni di insufficienza respiratoria o intubati nelle ultime 24 ore. La pandemia ha concentrato gli sforzi della ricerca sul virus SARS-CoV-2, tuttavia è bene ricordare che l’urgenza di trovare una soluzione per prevenire (attraverso vaccino) e curare questa malattia non deve andare a discapito della sicurezza. Servirà ancora tempo per avere risultati affidabili e definitivi.
Charlotte Eman