Nella ricerca biomedica si sente ormai frequentemente parlare di sistemi di drug delivery (Drug Delivery Systems in inglese, abbreviato DDS) da più di 30 anni. Al di fuori dei laboratori, però, questa branca di ricerca risulta quasi sconosciuta; anche se, forse inconsapevolmente, la maggior parte di noi ha, in qualche modo, contatti con questi sistemi.
Drug delivery prima del ‘‘Drug Delivery’’
Il desiderio di controllare l’assunzione e il rilascio di farmaci può essere fatto risalire ad oltre 1000 anni fa quando, per la prima volta, due celebri alchimisti persiani, Rhazes (865–925 DC) e Avicenna (980–1037 DC), raccomandarono di rivestire alcune pillole dal gusto amaro con della mucillagine, una proteina appiccicosa prodotta dalle piante. Sebbene il loro scopo fosse quello di mascherare il sapore, il rivestimento alterava anche i tassi di rilascio dei principi attivi, aumentandone il periodo di azione e costituendo di fatto uno dei primi sistemi a rilascio controllato della storia. Un obiettivo importante e a lungo termine dell'industria farmaceutica è quello di esplorare agenti terapeutici in grado di essere somministrati selettivamente a specifiche aree del corpo e con precise modalità. Il concetto di "pallottola magica", proposto per la prima volta da Paul Ehrlich nel 1891, rappresenta il primo avvicinamento moderno al drug delivery, intendendo con questo termine i farmaci "intelligenti" che colpiscono in modo mirato il bersaglio (le cellule malate), evitando le parti sane dell’organismo.
Il National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti definisce un sistema di drug delivery come "tecnologie ingegnerizzate per la somministrazione mirata e/o il rilascio controllato di agenti terapeutici, che possono controllare la velocità con cui un farmaco viene rilasciato e la posizione nel corpo in cui viene rilasciato".
L’attenzione di questa disciplina viene quindi posta non tanto alla ricerca e scoperta di nuove molecole, quanto alla ingegnerizzazione di farmaci già noti, ma che presentano inevitabilmente effetti collaterali nelle loro attuali modalità di formulazione ed assunzione. I primi prodotti cosiddetti a ‘‘rilascio prolungato’’ furono progettati alla fine degli anni Quaranta e all'inizio degli anni Cinquanta del Novecento, sotto forma di compresse rivestite in cui il rivestimento e il principio attivo venivano alternativamente stratificati in modo da rilasciare periodicamente il farmaco. Lo scopo era quello di prolungare il periodo di azione del principio attivo secondo tempistiche predefinite, diminuendone gli effetti collaterali.
Tra il 1980 ed il 2010 l’avanzamento dei DDS è stato notevole. Sono stati infatti sviluppati i cosiddetti polimeri intelligenti e gli idrogeli, la cui caratteristica aggiuntiva è la sensibilità ad alterazioni di fattori ambientali quali pH, temperatura, luce e campo elettrico.
DDS tra idea e realtà
I DDS sono molto più vicini a noi di quanto pensiamo. Alcuni infatti sono ormai entrati nell’uso comune: Ocusert®, ad esempio, è un inserto gel che viene posizionato nel sacco congiuntivale, utilizzato dal 1972 per il trattamento del glaucoma, mentre Norplant® è uno degli impianti di contraccezione sottocutanei attualmente in commercio, costituito da un bastoncino polimerico flessibile che viene inserito nel braccio e consente il rilascio ormonale per una durata di 5 anni.
Un altro esempio è rappresentato da Doxil®, il primo nano-farmaco approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1995 per il rilascio di un potente farmaco chemioterapico; oggi ne viene usata una versione moderna, chiamata Caelyx®,nel trattamento di un ampio spettro di tumori. Nano e microparticelle sono considerate le protagoniste alla base della rivoluzione moderna del drug delivery. Sono potenziali portatrici di farmaci attivi e, se associate a meccanismi di riconoscimento cellulare mirati, possono soddisfare molti attributi di una ‘‘pallottola magica’’.
La sfida è quindi su tre fronti: trovare il giusto target per la specifica malattia, trovare un farmaco che la tratti efficacemente e trovare un mezzo per trasportare il farmaco al sito specifico richiesto evitando di scatenare reazioni del sistema immunitario. Tali particelle hanno innumerevoli potenziali vantaggi, tra cui la regolazione di dimensioni, caratteristiche superficiali e degradabilità nel corpo. Inoltre, è possibile attaccare molecole che riconoscano il sito dove deve avvenire il rilascio, oppure in grado di essere guidate da forze esterne opportunamente regolate come campi magnetici, campi elettrici, laser o ultrasuoni. Infine, il drug delivery offre la possibilità di integrare diversi approcci terapeutici per potenziarne gli effetti in combinazione, per esempio trasportando due differenti farmaci che, somministrati insieme, hanno efficacia molto maggiore di quella che avrebbero singolarmente.
Verso il futuro
Con l'avvento di tecniche di ingegnerizzazione e di analisi sempre più avanzate, lo sviluppo di un ampio spettro di tecnologie su scala nanometrica ha modificato il panorama scientifico in termini di diagnosi, trattamento e prevenzione della malattia. Diverse nanoparticelle comportano rischi diversi, quindi ogni sistema deve essere studiato individualmente e in modo approfondito. Abbiamo ancora bisogno di conoscere l'effetto esatto dell'utilizzo di ogni nuovo materiale sulle proprietà fisico-chimiche e biologiche del corpo. Questo è il motivo per cui, nonostante quasi tutti i sistemi di somministrazione basati sulla nanotecnologia abbiano dimostrato una maggiore efficacia nel controllo, per esempio, dei tumori in modelli animali, pochissime formulazioni sono poi state approvate dalla FDA negli Stati Uniti e dall’Agenzia europea dei medicinali (EMA) in Europa.
La grande difficoltà della ricerca farmaceutica è quindi quella di coniugare diverse discipline come la scienza dei materiali, l’ingegneria, la biologia, la fisiologia e l’informatica, per progettare le medicine del futuro. Queste innovazioni tecnologiche, raggruppate nel termine nanomedicina, rendono reale l'incredibile promessa di rispondere alle esigenze di una medicina personalizzata e al contempo di aumentare l’efficacia e ridurre gli effetti collaterali della medicina convenzionale, con un enorme potenziale beneficio per i pazienti.
Stefania Boi