In questo momento di crisi ed emergenza sanitaria l’unica cosa che potrà mettere fine alla pandemia sarà la somministrazione di un vaccino a tutta la popolazione mondiale. I dubbi che ci tormentano a riguardo sono ancora molti: quando verrà sviluppato un vaccino per il Covid-19? Perché ancora non è pronto? Quanto tempo ci vuole?
Per rispondere a tutti questi quesiti c’è bisogno innanzitutto di fare un po’ di chiarezza dal punto di vista scientifico. Grazie all’invenzione della “Reverse Vaccinology” oggi i tempi per la creazione di un vaccino sono diminuiti notevolmente rispetto al passato. In condizioni normali, ovvero in assenza di un’urgente esigenza medica che mobiliti ingenti risorse pubbliche e private, sono necessari circa 7-10 anni per preparare un nuovo vaccino partendo da zero ed immetterlo in commercio. Nel nostro caso, anche investendo grandi quantità di denaro, ci vorrebbe comunque almeno 1 anno, con un po’ di ottimismo. Lo sviluppo di un vaccino è un processo senza dubbio molto lungo, preciso ed elaborato che deve partire dalla conoscenza dell’agente infettivo in questione e dalle sue modalità di interazione con l’organismo umano. È facile intuire che nel caso di un nuovo virus, come il SARS-CoV-2, di cui ancora rimangono oscuri molti aspetti, tutto il processo sia un po’ più complesso. Solo dopo aver acquisito infatti una chiara consapevolezza delle caratteristiche del virus, è possibile effettuare degli studi sperimentali necessari a stabilire quale sia la composizione qualitativa e quantitativa ideale per lo sviluppo del vaccino. Questo lavoro di analisi molto complesso viene comunemente chiamato “Studio Preclinico” e può durare molti anni.
Come funziona lo studio pre-clinico di un vaccino?
I vaccini di nuova generazione sono composti da proteine batteriche o virali, detti antigeni, ottenute attraverso raffinate tecniche di purificazione. Ma come si fa a capire quale antigene può andar bene per la formulazione di un vaccino contro un nuovo virus? La risposta più logica è quella di partire dal genoma: un complesso e particolare algoritmo analizzerà l’intera sequenza genica del virus e identificherà gli antigeni che, rispondendo a determinati criteri di selezione, possono rientrare nella categoria di candidati vaccinali. I candidati verranno poi testati in modelli animali ed il siero immune di questi ultimi verrà analizzato per valutare l’efficacia della risposta immunitaria ottenuta nei confronti di quella specifica proteina virale. Una volta identificato uno o più candidati vaccinali si passa alla formulazione, ovvero la mescolanza dell’antigene con componenti farmaceutiche aggiuntive che ne consentono un assorbimento ottimale da parte del nostro organismo e ne aumentano l’efficacia. Il concetto di formulazione è strettamente legato alla via di somministrazione; un vaccino somministrato per via intramuscolare avrà una formulazione diversa rispetto ad un vaccino somministrato per via orale. Ultimata questa fase, viene costruita dunque una forma del vaccino molto simile a quella che potrebbe essere utilizzata nella pratica quotidiana e la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia protettiva del preparato vengono studiate a questo punto nell’uomo.
Si passa così al secondo step: “la fase clinica”.
Questa viene a sua volta suddivisa in tre fasi obbligatorie che coinvolgono un numero di volontari sempre maggiori ed ogni fase viene ovviamente controllata e approvata da comitati etici ed altri enti specializzati. Ogni fase può avere una durata che va dai 6 mesi a 4 anni.
Fase uno: partecipano alla sperimentazione piccoli gruppi di volontari sani e questa fase ha l’obiettivo di confermare la sicurezza del preparato, e valutarne i possibili effetti collaterali.
Fase due: partecipano sempre più volontari ed è necessaria per confermare la sicurezza e la tollerabilità del vaccino dimostrando la capacità di indurre una buona risposta immunitaria nell’uomo.
Fase tre: partecipa un numero elevato di volontari e si stabilisce con più sicurezza l’efficacia del vaccino e frequenza con cui si manifestano eventuali reazioni avverse.
Terminate e superate con esito positivo le numerose fasi di sperimentazione, il vaccino ottiene, da parte di agenzie regolatorie nazionali (Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA) ed internazionali (Agenzia Europea per i Medicinali - EMA), l’autorizzazione all’utilizzo e all’immissione in commercio. Ovviamente tutti gli studi effettuati durante lo sviluppo di un vaccino devono rispondere agli standard internazionali di etica e qualità scientifica previsti dalle norme di buona pratica clinica, codificate a livello globale (Good Clinical Practice, GCP). Dopo l’autorizzazione si entra quindi nell’ultima fase, la Fase quattro, detta anche di Farmacovigilanza, durante la quale il vaccino verrà costantemente studiato e monitorato nelle sue reali condizioni d’uso, per rilevare effetti collaterali o altri problemi che possono essere sfuggiti precedentemente. Ovviamente, la messa in commercio di un vaccino prevede che questo venga prodotto in larga scala e venga somministrato, in questo caso, a tutta la popolazione mondiale. Viene quindi spontaneo immaginare che anche questo richiederà lungo tempo sia da un punto di vista produttivo che da un chiaro punto di vista economico.
In presenza di una pandemia la situazione cambia completamente; i tempi devono essere drasticamente ridotti per far fronte all’emergenza in corso ed è necessaria una collaborazione a livello globale sia delle comunità scientifiche, per facilitare l’identificazione dei candidati vaccinali, che tra aziende farmaceutiche per la veloce produzione in larga scala. Buone notizie arrivano l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quale comunica che sono circa 70 i potenziali vaccini attualmente in sperimentazione in tutto il mondo.
Chiariti questi complessi aspetti e questo preciso protocollo di produzione, continuiamo a sperare fiduciosi nello sviluppo di un vaccino per il Covid-19 ma sicuramente rimanendo consapevoli che i tempi non saranno brevi. Mentre aspettiamo dunque il vaccino, per fermare la pandemia dobbiamo continuare a seguire le misure di contenimento raccomandate dalle autorità. I virus, infatti, non si trasmettono da soli: dipendono da noi per replicarsi e dalle nostre interazioni sociali per trasmettersi da individuo a individuo. Ecco perché con le nostre scelte individuali possiamo davvero cambiare la storia di questa pandemia.
Giorgia Calò
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