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Il caso Idrossiclorochina, una storia di incertezze

Dall’inizio di questa pandemia abbiamo sentito parlare sempre più frequentemente di idrossiclorochina, un farmaco che, nel giro di pochi mesi, è passato da promettente arma contro il coronavirus a sostanza altamente rischiosa per la salute umana. Questo passaggio “dalle stelle alle stalle” non può non essere avvenuto senza colpi di scena e sicuramente ci sono delle figure responsabili di questo caos mediatico che ha lasciato il mondo con molti dubbi. Ma cosa è accaduto realmente? Per poter comprendere appieno la vicenda dovremo fare un passo indietro e ripercorrere la storia del farmaco.

Presentiamo i nostri protagonisti, la clorochina e l’drossiclorochina, due farmaci ben conosciuti con meccanismi d’azione simili, da sempre usati nella chemioprofilassi della malaria e nel trattamento dell’artrite reumatoide e del lupus eritematoso sistemico.

Di questi principi attivi era già nota la capacità antivirale contro i patogeni intracellulari come il virus Zika, Dengue e quello della SARS (parente stretto del SAR-CoV-2), motivo per il quale ad inizio febbraio un gruppo di ricerca in Cina ha, per la prima volta evidenziato, in modelli sperimentali in vitro (ovvero il colture cellulari), i potenziali effetti positivi del farmaco contro il nuovo coronavirus. Un successivo studio del 19 Febbraio 2020 condotto sempre in Cina, su più di 100 pazienti affetti da COVID-19, ha riportato la prima evidenza che nell’uomo la clorochina è efficace nel trattamento di un’infezione acuta da SARS-CoV-2. L’azione terapeutica di questo farmaco nell’infezione virale si basa su diversi effetti farmacologici che vanno dal blocco della replicazione del virus, alla modulazione dell’eccessiva risposta immunitaria responsabile dell’infiammazione del tessuto polmonare, che rende difficili gli scambi di ossigeno.

Sulla scia di queste prime scoperte, iniziano tutta una serie di sperimentazioni preliminari molto promettenti, ma non conclusive, che hanno portato, il 17 marzo scorso, ad un ufficiale utilizzo del farmaco antimalarico da parte dell’AIFA in forma off-label (utilizzo del farmaco al di fuori dalle condizioni autorizzate dagli enti predisposti), sia in pazienti affetti da COVID-19 ricoverati in ospedale che domiciliati (permettendone la prescrizione anche da parte dei medici di famiglia). Da ricordare che l’utilizzo fu consentito unicamente per il trattamento e non per la profilassi dell’infezione.


Le promesse dell'idrossiclorochina vengono infrante già ad inizio aprile, quando alcune sperimentazioni cliniche del farmaco su pazienti affetti da COVID-19, sono state sospese dopo aver scoperto che dosaggi eccessivi portavano a disturbi cardiaci. E’ da sempre noto infatti che il farmaco, somministrato anche in dosi adeguate, può portare all’insorgenza di effetti indesiderati a carico dell’apparato cardiovascolare, tra cui la comparsa di aritmie, potenzialmente gravi e fatali. Questi effetti possono essere ulteriormente aggravati se il trattamento è combinato con altri medicinali, come l'antibiotico azitromicina, che hanno effetti simili sul cuore. In seguito alle molteplici segnalazioni di reazioni avverse e studi scientifici a riguardo, il 24 aprile sia l’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) che la FDA (Food and Drug Adminisration) statunitense hanno richiamato l’attenzione sui rischi di reazioni, anche gravi, associati all’uso del farmaco e hanno sconsigliato l’utilizzo inappropriato di idrossiclorochina in assenza di monitoraggio medico costante, senza però sospenderne l’utilizzo per il trattamento off-label del COVID-19.


Da qui seguono due colpi di scena che sembrerebbero porre la parola FINE all’utilizzo del farmaco in questa estenuante battaglia al SARS-CoV-2.

Il primo avviene il 22 maggio quando vengono pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, i risultati di uno studio condotto su 96’000 mila pazienti, ricoverati per malattia da COVID-19, in 671 ospedali di ben sei continenti. I dati indicano che nei pazienti trattati con idrossiclorochina (o in combinazione con antibiotico) non si è registrata una diminuzione dei sintomi respiratori ma un aumento della mortalità fino al 45% legata allo sviluppo di aritmie e arresti cardiaci improvvisi.

Pochi giorni dopo, il 25 maggio, l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) fa dietrofront e annuncia la sospensione degli studi clinici sull'idrossiclorochina come potenziale trattamento per il Covid-19 (ma non per malattie autoimmuni o malaria). Seguono EMA e AIFA, le quali in attesa di prove più solide sulla vicenda, sospendono l'autorizzazione all’utilizzo del farmaco off-label per COVID-19 al di fuori degli studi clinici, sia in ambito ospedaliero che in ambito domiciliare.

Nonostante la profonda preoccupazione sugli effetti dell’idrossiclorochina, sembra che non tutti fossero d’accordo sulla sua sospensione. Primo tra tutti il presidente USA Donald Trump il quale, in una conferenza del 5 aprile, non solo ne ha incoraggiato l’utilizzo, ma ha ammesso di averlo assunto lui stesso in forma preventiva contro il COVID-19. Al suo fianco si sono schierati alcuni paesi, tra cui Brasile e India, e molti esponenti del mondo scientifico. Già alcuni giorni prima infatti, 180 ricercatori di tutto il mondo hanno scritto una lettera all’editore di Lancet, mettendo in discussione la validità dei dati contenuti della pubblicazione, provenienti da una piccola società di Chicago, la Surgisphere.


Effettivamente i conti di questo studio non tornano ed i primi ad accorgersene sono stati il servizio sanitario australiano e il giornale The Guardian Australia che ha avviato un’inchiesta internazionale sulla dubbia l’origine dei dati raccolti dalla piccola azienda con base a Chicago, Surgisphere. Secondo quanto scritto dal Guardian, la Surgisphere (il cui amministratore delegato Sapan Desai, citato in precedenza in tre cause per negligenza, era co-autore degli studi pubblicati dalle riviste scientifiche) non è riuscita a spiegare né le clamorose discrepanze sui dati individuate, né la metodologia utilizzata per il suo studio, che affermava di aver raccolto legittimamente dati da oltre mille ospedali in tutto il mondo. L’inchiesta ha anche evidenziato come la gran parte dei dipendenti della Surgisphere (una decina in totale) avessero limitate competenze scientifiche: il loro «science editor» risulterebbe essere un autore di fantascienza, e una delle esperte di marketing è una modella a luci rosse e una hostess per eventi. Questo ha ovviamente alzato molte domande su come l’azienda abbia avuto in così poco tempo accesso ai registri di tanti ospedali in tutto il mondo.

La scelta di pubblicare uno studio, senza aver fatto le opportune verifiche ha incrinato l’autorevolezza della rivista, tant’è che il Lancet ritira lo studio e tre degli autori dell’articolo ritrattano in toto il loro lavoro. Uno scossone che ha portato l’OMS a fare, di nuovo, marcia indietro, riattivando gli studi sull’idrossiclorochina, con tante scuse. Per il momento però l’AIFA, nonostante il ritiro dello studio del Lancet, ha fatto sapere che la scelta non verrà rivista.

Qual’è quindi il destino dell’idrossiclorochina? Si prospettano altri colpi di scena in questa complessa vicenda? Purtroppo non ci sono ancora studi definitivi che possano confermare l’efficacia del farmaco nel trattamento o prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, le analisi sono ancora in corso e ci vorrà del tempo prima di poter avere un verdetto definitivo. Ciò che possiamo affermare è che d’ora in poi la comunità scientifica procederà in modo molto più scrupoloso nell’analizzare i dati. Una lezione che abbiamo imparato da questa pandemia e dal caso idrossiclorochina, è che la necessità di avere risposte immediate ha portato gli scienziati a condurre ricerche in fretta e furia e le riviste scientifiche, come The Lancet, ad accettare lavori senza effettuare indagini approfondite, perdendo quindi in credibilità e autorevolezza nel mondo medico-scientifico. In questa complessa vicenda bisognerebbe avere la pazienza di studiare come effettivamente agisce questo medicinale contro il virus, utilizzando dei metodi il più possibile veloci, ma senza rinunciare a un minimo di rigore scientifico.




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