Una cosa è certa nella nostra vita, ovvero il ciclo che la regola. Nasciamo, cresciamo, invecchiamo e alla fine, in un modo o nell’altro, lasciamo questo mondo. Questa è la sequenza che governa l’esistenza di qualsiasi essere vivente. D’altronde, ce lo insegnano fin da bambini: gli esseri viventi, per definizione, passano attraverso uno stadio giovanile durante il quale si accrescono, una fase di maturità durante la quale si riproducono, e una fase di vecchiaia, che porta infine alla decadenza dell'individuo, e alla sua morte.
Ma se esistesse un modo per interrompere questo ciclo? E se potessimo ritardare il più possibile l’invecchiamento? Se la biologia avesse già trovato modi alternativi per impedirci di invecchiare e regalarci una vita più longeva e sana?
Non si tratta della sindrome di Peter Pan di chi non vuole diventare grande e rimanere sempre bambino, ma di un vero e proprio campo di ricerca che sta spopolando ormai da un secolo. Lo studio del processo di invecchiamento rappresenta infatti uno degli argomenti più attraenti e affascinanti in campo biologico. Numerose teorie sono state elaborate per riuscire a comprendere del tutto o parzialmente quale siano i fattori chiave di tale processo: dalla teoria dei radicali liberi a quella della regolazione genica, dalla teoria della senescenza cellulare all’inflammaging, ma non siamo mai arrivati a risposte certe.
Partiamo con qualche definizione: col termine senescenza si indica il “processo multifattoriale che opera a diversi livelli di organizzazione funzionale”. Essenzialmente, la relazione tra i cambiamenti legati all’età, che producono un fenotipo di invecchiamento, sembra avere una comune origine in un processo globale che altera la funzione delle cellule o degli organi. La progressiva incapacità di resistere alle sollecitazioni ambientali renderebbe l’organismo più vulnerabile alle malattie e aumenterebbe quindi il rischio di morte. A livello molecolare sono stati individuati i cosiddetti hallmarks, ovvero le caratteristiche tipiche dell'invecchiamento.
Queste sono:
Instabilità genomica: invecchiando, accumuliamo puntualmente danni genetici. Semplicemente, nel tempo, il nostro DNA viene alterato, e tutti i danni si sommano.
Senescenza cellulare: più a lungo viviamo, maggiori sono le possibilità di sperimentare un accumulo di cellule senescenti (vecchie), che tendono a restare nel corpo e possono contribuire all'insorgenza di malattie legate all'età.
Disfunzione mitocondriale: i mitocondri sono gli organelli che generano l'energia di cui le nostre cellule hanno bisogno per alimentare le reazioni biochimiche necessarie a tenere le stesse in vita, e noi con loro. È stato scoperto che la disfunzione mitocondriale può accelerare il processo dell'invecchiamento.
Ma è davvero obbligatorio invecchiare?
Secondo il biologo Andrew Steele, intervistato per la rivista Guardian “l’invecchiamento rappresenta il maggiore problema umanitario del nostro tempo, poiché rappresenta una crescita esponenziale del rischio di morte e sofferenza”. Secondo Steele, dunque, bisognerebbe intervenire sugli hallmark stessi, che ci portano inevitabilmente ad invecchiare e ci predispongono ad una serie di malattie legate all'età, come la demenza, l'ipertensione o diverse patologie cardiovascolari.
Negli ultimi decenni la biologia ha fatto passi da gigante: nel 2016 ad esempio, una ricerca condotta sui topi ha brillantemente dimostrato come la Spermidina, farmaco isolato dallo sperma umano coinvolto nel metabolismo cellulare, abbia giocato come elisir di lunga vita per i topolini, la cui longevità è stata allungata del 10%. Ancora, nel 2017, è stata sintetizzata una molecola, versione artificiale della proteina FOXO4, che “spingerebbe al suicidio” le cellule senescenti, cellule fragili, danneggiate e capaci di favorire diverse malattie. Al contempo, risparmierebbe quelle sane, lasciando semplicemente agire in libertà la p53, la proteina coinvolta nella morte cellulare. I topi trattati per 10 mesi, tre volte alla settimana, con infusioni di questa molecola, erano caratterizzati da un pelo più folto, minori danni renali e, in generale, una maggiore vitalità. Sempre su modelli animali, nel 2020, è stato eseguito un trapianto di cellule staminali da topi più giovani a topi più anziani che ha permesso a questi ultimi di vivere tre mesi in più, l'equivalente umano di oltre dieci anni! Per quanto riguarda gli studi sull’uomo però, bisogna ancora essere pazienti: è prima necessario, infatti, capire quale tipo di somministrazione utilizzare e quali possano essere gli effetti collaterali, e in generale, se tali risultati possano conseguentemente portare ad un trattamento efficace nell’uomo.
Tutto sembrerebbe portare all’idea utopica di una eterna giovinezza. Lo scopo che accomuna tutte queste ricerche così innovative però non è l’immortalità: le persone ovviamente continueranno a seguire il ritmo del proprio ciclo vitale, nascendo, crescendo e inevitabilmente morendo. I progressi della scienza non potranno impedire incidenti stradali, omicidi, o morti a causa di patogeni o malattie per le quali non esiste una terapia.
Ciò che queste ricerche auspicano è il raggiungimento di una vita più lunga e sana, nella quale nonni e bisnonni possano giocare al parco con i propri nipotini, godendo dei benefici di un corpo più energico.
A questo proposito, una conseguenza da non sottovalutare è il problema della sovrappopolazione. Lo stesso Steele, quando qualcuno solleva questo dubbio, risponde sottolineandone l’incoerenza: “esistono molti modi per affrontare la questione”, sostiene il biologo, “se fossimo immortali, inventare l'invecchiamento sarebbe forse una soluzione?”. Alla domanda insistente, risponde: “se, ad esempio, annunciassimo al mondo di aver trovato una cura alla leucemia infantile (che avrebbe dunque lo stesso risultato: impedire la morte di qualcuno), nessuno si porrebbe il problema del rischio sovrappopolazione”, paragonando quindi l’invecchiamento ad un vero e proprio stato patologico.
L'invecchiamento come i cambiamenti climatici
L'invecchiamento, secondo il biologo, sarebbe quindi paragonabile ai cambiamenti climatici: entrambi sono mali che si muovono in sordina, in una lenta ma inesorabile progressione che ci porta alla morte. Tuttavia, proprio per questa loro apparente staticità, non sono visti come minacce a cui far fronte con urgenza, a differenza di eventi improvvisi e inaspettati, come ad esempio la pandemia da Covid-19. A tal proposito, avremmo potuto addirittura fare di più: come tutti sappiamo, sono gli anziani i soggetti più a rischio durante la pandemia che stiamo vivendo. I farmaci anti-invecchiamento avrebbero quindi potuto ridurre l'impatto del Covid-19 in questa fascia di popolazione. Per questo è necessario finanziare la ricerca scientifica non solo in situazioni di emergenza come pandemie improvvise, ma anche e soprattutto in momenti di relativa calma, nei quali si può fare ricerca di base senza la fretta data da un mostro invisibile che si porta via ogni giorno centinaia di vite umane.
Ciò che forse ancora non ci è chiaro, ma che ben presto dovremo riuscire ad imparare, è che la medicina funziona meglio se previene, invece che curare.
Alessia Campagnano
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