Sicuramente il 2020 verrà ricordato come l’anno del SARS-CoV-2, comprensibilmente l’opinione pubblica si è concentrata su questo virus e l’urgenza legata alla pandemia. Ma il 2020 ha visto anche un importante passo avanti nella cura di un’altra malattia virale: l’AIDS. A marzo 2020 infatti, sui giornali compariva la notizia di un paziente inglese guarito da HIV.
In occasione della giornata mondiale contro l’AIDS vogliamo approfondire meglio il significato di questa notizia e spiegarvi perché ad oggi esistono solo due pazienti guariti da HIV.
Cos’è l’HIV
L’HIV, la cui sieropositività negli anni ‘80 segnava una condanna a morte, è quello che in medicina viene definito l’agente eziologico dell’AIDS (Sindrome da immunodeficienza acquisita), analogamente a come SARS-CoV-2 è per COVID-19. Secondo stime epidemiologiche recenti dell’OMS al 2019 si contano 38 milioni di sieropositivi, di cui 27 milioni in Africa, 3,7 milioni in America e Sud-Est Asiatico e 2,7 milioni in Europa.
L’HIV è un virus a RNA di cui si conoscono due sierotipi, HIV-1 e 2. Il primo è più virulento e infettivo, ed è causa della maggior parte delle infezioni da HIV a livello mondiale, mentre il secondo è meno patogeno e prevalentemente localizzato in Africa occidentale.
Il primissimo contatto con l’uomo è avvenuto mediante zoonosi, ossia tramite il famoso “salto della specie”, in questo caso dallo scimpanzé.
La trasmissione da uomo a uomo avviene mediante rapporti sessuali, contatto con il sangue di un paziente infetto e mediante trasmissione verticale dalla madre sieropositiva al feto.
Il virus penetra nelle cellule utilizzando il recettore CD4 e i co-recettori CCR5 e/o CXCR4 e il suo principale bersaglio sono le cellule del sistema immunitario. Questo porta ad un progressivo indebolimento che rende il paziente più suscettibile allo sviluppo di alcuni tipi di tumore ed infezioni da altri agenti patogeni, da cui il nome “immunodeficienza acquisita”.
Nonostante l’impegno da parte dei ricercatori di tutto il mondo, ad oggi non esiste una terapia in grado di eradicare completamente l’infezione da HIV. Esiste però una terapia antiretrovirale (ART) che consiste nell’utilizzare in associazione dei farmaci in grado di controllare la replicazione del virus. L’ART protegge l’individuo infetto dall'indebolimento del sistema immunitario, dandogli la possibilità di svolgere una vita in salute per decenni.
Il caso di pazienti guariti
Ma quindi, com'è possibile che a marzo un paziente sia guarito da HIV?
In realtà, il primo caso di remissione completa dall’HIV risale a dieci anni fa: Timothy Ray Brown, noto come “Il paziente di Berlino”, era affetto da una leucemia mieloide acuta e non rispondeva alla chemioterapia. Per questo era stato sottoposto al trapianto di cellule staminali ematopoietiche il cui donatore aveva una mutazione nel co-recettore CCR5. Questa mutazione genetica conferisce una resistenza all’HIV impedendo l’entrata del virus nelle cellule. Solo il 10% della popolazione europea ha ereditato questo gene alterato. Nei tre anni successivi al primo trapianto, e nonostante l’interruzione della terapia antiretrovirale, i ricercatori non sono stati più in grado di rilevare il virus nel sangue di Timothy, concludendo di fatto che il paziente risultava guarito.
Una situazione analoga si è verificata per il “paziente di Londra” Adam Castillejo, il protagonista del caso di quest’anno come descritto sulla rivista scientifica Nature. Infatti, anch’egli aveva prima contratto l’HIV, poi sviluppato un tumore maligno (il linfoma di Hodking), e conseguentemente era stato sottoposto allo stesso trapianto subito da Brown. Dopo circa 18 mesi dal trapianto Adam è stato dichiarato “HIV-free” e i prelievi a 30 mesi dall’interruzione della terapia antiretrovirale, avvenuti a marzo 2020, non hanno mostrato la presenza di un’infezione virale attiva.
Anche se quanto descritto rappresenta una speranza per i pazienti sieropositivi, questo tipo di trattamento rimane ad alto rischio e viene riservato solamente come ultima risorsa per i pazienti con HIV che hanno dei tumori ematologici che non rispondono a nessun altro tipo di cure.
Tuttavia, episodi come quelli dei pazienti di Berlino e Londra rappresentano la base promettente sulla quale effettuare ulteriori studi, con la speranza di trovare cure altrettanto efficaci, ma meno invasive e rischiose per chi le riceve.
Un’ulteriore possibilità terapeutica sembrerebbe quella attuata con successo sul “paziente di San Paolo”. Durante la conferenza internazionale dell’Aids 2020, è stato annunciato che un paziente di 36 anni che è stato sottoposto ad un trattamento farmacologico sperimentale aggressivo a base di 5 antiretrovirali e nicotinammide, non ha più mostrato i segni dell’infezione da 66 settimane. Non si tratta della stessa terapia di Castillejo o Brown, e solo il tempo e i futuri accertamenti potranno confermare la possibile guarigione di questo paziente. Se così fosse sarebbe il primo ad essere stato curato tramite una terapia farmacologica.
Sperando in futuro di poter confermare questa notizia, vi invitiamo a non abbassare la guardia verso questo virus che seppur tenuto sotto controllo è ancora altamente diffuso.
Federica Di Fonzo e Sharon Spizzichino
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